È scoppiata la pace tra fornitori di accesso a Internet e fornitori di servizi cloud. E’ una notizia che perfino l’Economist accoglie con un certo scetticismo: “Will the cloud business eat the 5G telecoms industry?”.

Si perché fino a poco tempo fa chi era impegnato a costruire infrastrutture aveva ingaggiato una guerra regolamentare per poter ottenere il pagamento di un pedaggio da chi online vendeva solo servizi senza sopportarne i costi relativi a scavi, cavidotti, licenze, manodopera e tralicci, e traendo quindi il massimo profitto in termini di marginalità.

L’avvento di reti ultraveloci fisse e mobili, capaci di servizi estremamente utili e performanti si incontra e si scontra con l’avvento di nuovi servizi cloud che invece sono nella disponibilità quasi esclusiva di hyperscaler che giocano sul mercato globale.

Infiniti sono i casi d’uso che spaziano dall’intelligenza artificiale alle auto a guida autonoma, passando per un esercito di robot capaci di apprendere e di migliorare operazione dopo operazione, accumulando dati. Tutto ciò ha spinto i più deboli – ossia gli operatori telefonici – a cercare un accordo – obtorto collo – con quello che prima era considerato un nemico. Ed è così che in ogni parte del mondo vediamo come Google, Amazon e Microsoft hanno iniziato a stringere accordi con gli ex monopolisti telefonici impegnati in grandi investimenti infrastrutturali.

Non è facile spiegare l’interrelazione che corre tra servizi online e reti wired e wireless quando sono erogati in partnership da due soggetti distinti e che hanno finalità imprenditoriali diverse.

Gli hyperscaler da un lato sono oligopolisti di servizi ad alto valore aggiunto, con grandi marginalità, e che operano spesso su piattaforme sfruttando un’enorme mole di dati accumulati nel tempo.- Essi godono di economie di scala e di scopo, hanno un vantaggio tecnologico dovuto ad enormi ricavi accumulati negli anni e reinvestiti in ricerca e innovazione, operando sostanzialmente indisturbati, senza una regolamentazione fiscale ad hoc, senza una regolamentazione ex ante, e con qualche sanzione ex post.

Dall’altro lato gli operatori telefonici di rete fissa, impegnati nello sviluppo di reti in fibra ottica fino a casa dell’utente, necessitano di un sostegno alla domanda che deriva dalle applicazioni che sfruttano le capacità di quella rete che altrimenti rimarrebbe scarica. Nello stesso segmento gli operatori di telefonia mobile che hanno dilapidato capitali in aste per l’assegnazione di radiofrequenze, e che hanno terminato i fondi per dare seguito agli obblighi di copertura cellulare.

Gli operatori telefonici per anni hanno avuto come prerogativa il controllo dell’utente ed il privilegio di essere in un mercato sostanzialmente oligopolistico. Oggi però il quadro regolamentare è cambiato, ed ha iniziato a prevedere l’assegnazione di frequenze anche a non-operatori per un uso verticale locale o privato.

Per questi motivi il rapporto tra un fornitore di servizi cloud ed un operatore di rete fissa o mobile, continuerà ad essere sbilanciato verso primo. Soprattutto in un contesto di ripresa e resilienza dove molte opere verranno finanziate dai governi specialmente nelle aree più critiche, dove si registrano fallimenti di mercato. Una cosa quindi è certa: i cloud provider non parteciperanno nemmeno stavolta ai costi legati all’infrastrutturazione di reti fisse e mobili negli Stati in cui operano.